Dopo il ritrovamento della microspia nella sala riunioni del Governatore del Lazio, Zingaretti, gli interrogativi che si pongono gli investigatori riguardano soprattutto le «stranezze» dell’apparato che era nascosto nello schienale di una poltrona. Le stesse domande, in tono più informale, le le pongono i tecnici, abituati a maneggiarle quotidianamente. Qualcuno accenna un sorrisetto, altri scuotono la testa. Quella microspia trovata ieri nello schienale di una poltroncina della sala riunioni del governatore del Lazio non convince gli esperti. Nessuno ha potuto maneggiarla, ma le foto sono eloquenti. E comunque sono sufficienti per una prima analisi.
«Si tratta di un apparato costruito attraverso l’assemblaggio di componenti di marche differenti: quindi non è stata acquistata. E questa potrebbe essere una cautela presa da chi l’ha piazzata, per non essere individuato – dice Andrea Pedicone, consulente dell’Associazione Nazionale Forense ed esperto di spionaggio informatico – Se era ancora in grado di funzionare, doveva essere stata piazzata da poco tempo: o comunque programmata per restare in quel posto per un breve periodo, poiché è autoalimentata a differenza delle microspie professionali che solitamente vengono attaccate a fonti di alimentazione della rete elettrica.
LE BATTERIE
Sono evidenti, infatti, delle normalissime batterie da 1,5 volt che non possono garantire una trasmissione superiore alle 2-4 settimane, e comunque la durata dipende dalla distanza alla quale dovevano trasmettere – direi media – e dalle interferenze presenti». Ecco, la distanza di trasmissione è fondamentale per capire quanto fosse pericolosa quell’apparecchiatura: «Io credo che quel marchingegno non possa trasmettere ad una distanza superiore ai venti o trenta metri, a seconda dello spessore dei muri e delle intercapedini». Sulla provenienza della cimice, l’investigatore Andrea Pedicone ha una quasi certezza: «Non dovrebbe essere, ma condizionale è d’obbligo, di quelle in uso alle forze dell’ordine, semplicemente perché priva del numero di matricola necessario per indicare nel decreto di autorizzazione o negli atti di indagine, lo scopo per il quale l’apparato deve essere utilizzato. Ma non solo: anche l’approssimazione dell’apparecchio lascia perplessi: mi lasci dire che Mister Bean avrebbe fatto di meglio».
Le perplessità di Pedicone non sono finite:«E’ difficile inserire un simile oggetto all’interno di un divano senza avere la disponibilità dei locali, senza poterlo aprire. Raccontata così mi viene da pensare che il colpevole potrebbe essere il tappezziere. E poi, mi chiedo: perché quando è stata trovata non hanno fatto finta di nulla, chiamato i carabinieri, individuato chi riceveva il segnale e arrestato i responsabili?». Qualche dubbio lo solleva anche l’esperto in sistemi di intercettazione Paolo Pecora: «Si tratta di un apparecchio decisamente obsoleto, che potrebbe avere anche cinque o sei anni. Paradossalmente qualcuno potrebbe averlo lasciato lì da chissà quanto tempo». E ancora, aggiunge Paolo Pecora «Quell’apparato non mi sembra particolarmente sofisticato, diciamo che in laboratorio specialistico potrebbe andar bene come modello per addestrare un giovane tecnico; ma se uno dei miei esperti mi portasse un marchingegno del genere, diciamo che gli farei passare un brutto quarto d’ora».